Ultrà, storie da vivere e da leggere
Diventa fondamentale leggere libri come quelli di Pierluigi Spagnolo: “I ribelli degli stadi” e “Contro il calcio moderno” (Odoya). Hanno il grande merito di ricostruire in forma sintetica e chiara un’ampia e complessa storia collettiva, di cui i vecchi farebbero bene a rinfrescare la memoria e i giovani ad approfondirla. Senza però commettere l’errore di rendere il passato ancor più opprimente.
Nel corso del tempo, quanti ragazzi sono deceduti, carbonizzati, nei treni delle trasferte? E quanti sono stati uccisi dagli agenti in divisa? È mai esistito un “codice d’onore” negli scontri ultrà? E come è stato “normalizzato” il tifo nel secolo scorso? Sono domande alle quali può rispondere soltanto chi c’era e c’è sempre stato, ma non chi c’è da poco tempo.
Ci sono due motivi per narrare una storia: sentirsi parte di essa o usarla per lanciare un prodotto di mercato. Ciascuna tifoseria custodisce un’epica, una mitologia, una fitta tessitura di racconti che si tramandano da una generazione all’altra, intrecciando vicende legate alla propria squadra di calcio, storie di vite individuali e di gruppo. A volte si ha quasi la sensazione che in assenza di questa narrazione corale, gli ultrà neanche esisterebbero. Negli ultimi anni le tifoserie si sono spaccate al proprio interno, ma i singoli gruppi appaiono più organizzati, solidi e compatti. Cambiano solo gli stili, non il contenuto. Questa modalità “testuggine”, che quasi sempre i gruppi ormai assumono, può anche essere interpretata come il riflesso di una crisi, la reazione al fatto che il mondo del tifo organizzato stia sparendo o comunque mutando.
Da sempre, ciascun ultrà narra le storie vissute insieme ai propri compagni. Lo fa con orgoglio e pudore. Negli ultimi anni, a questa ritualità simile a quella religiosa si è aggiunto un altro racconto. È il cosiddetto storytelling che, al contrario della narrazione rituale, mira a vendere un prodotto di consumo. L’arte coreografica e il e il conflitto, che gli ultrà attuano ogni settimana dentro e fuori gli stadi, sono divenuti anche una merce. Il tifo e la violenza portano soldi nelle casse delle Tv a pagamento, dell’apparato di ordine pubblico e del merchandising delle società di calcio. Leggere libri come quelli di Spagnolo può servire a divenire meno inconsapevoli, dunque più forti e resistenti.
Claudio Dionesalvi